Il 3 marzo 2020 Neil Druckmann, creatore del gioco originale annuncia la serie tv tratta dall’opera videoludica nonché punta di diamante di Sony al quale lavorerà come sceneggiatore.
La serie è stata prodotta da Craig Mazin, creatore della serie televisiva “Chernobyl” e da Sony Pictures Television in collaborazione con PlayStation Productions.
Cos’è The Last Of Us e perché tanta attenzione per la serie tv
The Last of Us è un gioco di avventura in terza persona sviluppato da Naughty Dog e pubblicato da Sony Computer Entertainment lanciato il 14 giugno 2013 per la PlayStation 3 e successivamente per la PlayStation 4.
Il gioco è divenuto un nuovo standard dei videogames grazie al suo successo commerciale e critico e diventando uno dei giochi più acclamati e premiati della generazione di console con numeri da capogiro come 17 milioni di copie in tutto il mondo , oltre 240 premi “Gioco dell’anno” , gioco più venduto su PlayStation 3 e PlayStation 4 nel 2013 e nel 2014.
Il suo sequel, The Last of Us Part II, uscito invece il 19 giugno 2020 ha venduto oltre 4 milioni di copie in tutto il mondo nel primo weekend di lancio.
The Last Of Us , il debutto eccezionale della serie HBO
Il debutto è stato da urlo con 4,7 milioni di telespettatori negli Stati Uniti nella prima notte di disponibilità rendendolo il secondo più grande debutto dal 2010 dietro a House of the Dragon.
L’episodio introduce i personaggi e la storia in maniera perfetta e fedele alle prime ore di gioco del primo capitolo.
SPOILER IMAGE
L’incredibile realismo, riesce a fare addentrare da subito lo spettatore nel mondo devastante e crudo di The Last Of Us.
La regia e la produzione sono di alta qualità, creando un’atmosfera inquietante e intensa con una fotografia ed colonna sonora bellissima ideata dallo stesso compositore argentino che ha lavorato alle musiche del gioco (Gustavo Santaolalla) con ottimi costumi e messa in scena.
L’incredibile trasposizione e realismo degli infetti
Un altro elemento riuscitissimo in questo primo episodio è il realismo e la ferocità degli infetti. In basso una scena dei primi minuti dello show.
Il cast e le prime impressioni sulle interpretazioni
Sin dai primi rumors sulle scelte di casting per questa attesissima serie, sono state numerose le critiche dei fan che preferivano altri volti per i propri beniamini.
Siamo sinceri, per chi ha giocato a The Last Of Us è impossibile non far fatica almeno nei primi minuti a guardare Joel e Ellie senza pensare ai volti della controparte videoludica.
Eppure un Pedro Pascal in grandissima forma riesce subito ad entrare completamente nel personaggio riuscendo non solo a sovrapporsi benissimo al volto originale ma anche senza dubbio ad essere la stella di questo primo scorcio di serie con un’interpretazione perfetta.
Anche Bella Ramsey nonostante un minutaggio inferiore al suo co-protagonista riesce ad imprimere su schermo il carattere ribelle e cazzuto di Ellie, mostrando ancora una volta la sua eccellente qualità recitativa.
In linea generale tutto il cast mostra i muscoli , per un’ottima resa attoriale e per un episodio pilota che promette davvero bene per il proseguo della serie.
Un grande inizio senza dubbi, grazie ad un lavoro perfetto: La cura per i dettagli, le ambientazioni, i richiami al gioco ( come ad esempio l’accovacciarsi per aprire lo zaino ) , le inquadrature sporche, a mano per calcare il realismo e i tanti elementi che vanno a costruire un mondo fedele al gioco ma allo stesso tempo potenzialmente reale.
Insomma sebbene abbiamo già visto una trasposizione videoludica con la buona serie di Halo (qui la recensione) che però non ha convinto pienamente, le impressioni avute al debutto di TLOU la candidano sicuramente a possibile serie dell’anno.
Ricordiamo infine che il primo episodio in italiano uscirà il 23 gennaio dove troveremo di nuovo la voce di Lorenzo Scattorin nei panni di Joel e per chi non l’avesse ancora visto può guardare qui in basso il trailer ufficiale.
Dimenticate il bello e coccolone Winnie. Il celebre personaggio immaginario protagonista dell’omonima serie di romanzi per ragazzi ideata da Alan Alexander Milne, torna in un inaspettato ed incredibile reboot horror.
Blood and Honey è un film indie, che porterà a schermo una rivisitazione in chiave horror del dolce orsetto.
Sebbene i dettagli della trama non sono ancora noti, dalle immagini pubblicate dalla produzione Jagged Edge Productions possiamo farci un’idea. Winnie è ritratto come un feroce assassino affiancato dal suo inquietante aiutante Piglet.
Un film che comunque pare calcare la classica trama dei film thriller/horror con in particolare con protagoniste un gruppo di ragazze che si trovano costrette a lottare per sopravvivere contro spietati serial killer.
Un incredibile risposta del pubblico
Secondo alcune dichiarazioni rilasciate dal regista Rhys Frake-Wakelfield, la risposta del web alle prime notizie è stata folle tanto da spingere la produzione ad accelerare i tempi per concludere quanto prima le riprese. Ad oggi infatti non sappiamo ancora tempi e metodi di distribuzione della pellicola.
Apparently there is a Winnie the Pooh horror movie in the works now . Who ever had the idea for this definitely planned this ahead and strategically waited for the copyright to expire and go to public domain before making this lol pic.twitter.com/eyNXUuj8Us
Del cast sappiamo che ne faranno parte come protagoniste Amber Doig-Thorne, Maria Taylor e Danielle Scott.
Che ruolo avrà la Disney ?
Quale ruolo ricopre la Disney in tutto questo ? NESSUNO.
Secondo le leggi sul copyright degli Stati Uniti generalmente prevedono una durata di 95 anni per le opere pubblicate. Quindi, dal 1° gennaio 2022, Winnie-the-Pooh (e anche Bambi) sono diventati di pubblico dominio.
Ciò vuol dire che i diritti di Winnie the Pooh sono diventati di dominio pubblico, non vi è più alcun diritto di proprietà e , dando a tutti l’opportunità di sfruttare in qualsiasi modo il personaggio.
E voi, come avete reagito alla notizia ? Vi stuzzica l’idea di vedere il celebre Winnie in chiave horror ?
Intanto il famoso e magico Bosco dei Cento Acri, non pare più così bello ed accogliente …
Run è un film del 2020 diretto da Aneesh Chaganty con protagoniste Sarah Paulson (American Horror Story, Glass, Ratched) e Kiera Allen rispettivamente nei ruoli di Diane e Chloe Sherman.
Trama
Chloe è stata cresciuta da sua madre Diane in totale isolamento. Sua madre l’ha totalmente controllata da quando è nata, ma ora, da adolescente, Chloe sta iniziando a scoprire i bui segreti di Diane.
Sarah Paulson e Kiera Allen in Run (Credits: Allen Fraser/Universal Pictures/Lucky Red)
Nulla è come sembra, anche se facile da intuire …
Il regista indiano al suo secondo lungometraggio, ci immerge in un thriller claustrofobico ed intrigante. Sin dalle prime sequenze cerca di proporre una dinamica inedita, che fa percepire il pericolo dall’interno, cosa poco frequente in confronto al pericolo ignoto che proviene al di fuori come spesso vediamo nel classico thriller. Per quasi la totalità del minutaggio, i soli personaggi sullo schermo sono la maniacale e iperprotettiva Diane, e sua figlia adolescente Chloe, quest’ultima affetta da una serie di malattie croniche che l’affliggono sin dalla nascita.
La particolarità che rende originale e claustrofobico il film è – come dal titolo – correre. Nella stra-maggioranza delle pellicole del genere, c’è sempre il momento in cui la vittima cerca di sfuggire alla morta scappando e quindi correndo. In Run, questo aspetto assume un significato diverso, data l’impossibilità di correre da parte di Chloe per causa dei suoi problemi di salute, riuscendo a trasmettere forte ansietà e immobilismo.
Una scena con Kiera Allen in Run (Credits: Allen Fraser/Universal Pictures/Lucky Red)
Sebbene già dopo la prima parte è facilmente intuibile chi è l’antagonista della vicenda, sono i dettagli mancanti a tenere banco. Il gioco di segreti e il metodo con cui ci vengono svelati le parti mancanti sono ciò che tiene incollati allo schermo ed che rende il film godibile e funzionale.
Il film ha un buon ritmo, con un’interpretazione magnetica di Sarah Paulson e una buona performance della Allen, ma ahimè non esente da alcuni cliché.
Commento finale
Run, ha il merito di prendere gli aspetti migliori del genere thriller e di esaltarne alcune situazioni e aspetti clou. Un prodotto che sostanzialmente porta di gran lunga a casa la pagnotta , ma che non si può definire un cult. In sostanza è un film godibile,piacevole e che può intrattenere sicuramente in una bella serata all’insegna del cinema sul divano di casa.
Oggi parliamo di Daymare 1998, gioco survival horror in terza persona sviluppato dal team italiano Invader Studios. Il titolo è stato pubblicato da Destructive Creations e All In! Games il 17 settembre 2019 su Steam e GOG.com,il 20 febbraio 2020 in Giappone su piattaforma PlayStation 4 (con il supporto di DMM Games) e infine il 28 aprile 2020 su PlayStation 4 e Xbox One nel resto del mondo.
Breve cronistoria dello sviluppo
Daymare 1998 nasce dall’idea iniziale di sviluppare un fan-remake di Resident Evil 2, inizialmente realizzato con motore Unity e successivamente con Unreal Engine 4.
Quando il 17 luglio 2015 viene pubblicato un anteprima del remake su Youtube, raggiunge in poche ore più di un milione di visualizzazioni, suscitato interesse in tutto il mondo. Capcom Co. quindi invitò i ragazzi di Invader nella sede di Osaka nell’ottobre 2015.
Poco dopo gli sviluppi si interruppero, dopo l’annuncio ufficiale di Resident Evil 2 Remake probabilmente proprio dopo l’incontro, con Capcom. Infatti da lì a poco il team decise di creare una nuova ip annunciandola ufficialmente il 12 settembre 2016 con il nome di Daymare 1998.
Per raccogliere i fondi necessari, crearono una una campagna su Kickstarter con una speciale demo PC, denominata Daymare Challenge, che seppur non raggiunse i risultati prefissati, contribuì a dare ancora più risalto al progetto. Dopo una produzione di 2 anni e 4 mesi, il titolo sbarca su tutte le piattaforme.
La trama
Gli eventi di Daymare 1998 hanno inizio nei laboratori Aegis, una struttura governativa segreta sull’isola di North Blue Two, parte dell’arcipelago delle Nortfall Islands situato poco al largo delle coste dello stato di Washington, Stati Uniti occidentali.
Successivamente l’azione si sposta a Keen Sight, una piccola e pacifica cittadina americana dell’Idaho circondata da una sterminata foresta.
La storia è raccontata da tre diversi punti di vista : quello dell’agente delle unità speciali H.A.D.E.S (Hexacore Advanced Division for Extraction and Search) Liev, del pilota di elicotteri Capitano David Raven Hale e quello di Samuel Walker, un forest ranger della Vermillion Forest, che circonda Keen Sight.
Tutto ha inizio con un evento già visto nei giochi della saga Capcom, con il Ministero della Difesa Americano che forze speciali in seguito alla diffusione di un letale virus.
Invia in particolare i due team di agenti H.A.D.E.S., che stavolta non hanno come obbiettivo principale quello di mettere in salvo i civili, ma di investigare sull’incidente, recuperare i dati e i campioni delle ricerche più importanti e cancellare ogni traccia dell’accaduto. L’evento scatenante sarà solamente la goccia che fa traboccare il vaso. Una cospirazione molto più grande, di cui persino la tranquilla cittadina di Keen Sight ne fa parte.
Infatti mai farsi ingannare dalle apparenze, che in questo caso riveleranno inquietanti e oscuri segreti.
Personaggi in Daymare 1998
Durante il gioco vestiremo i panni di :
Liev: Agente speciale d’élite delle unità speciali H.A.D.E.S (Hexacore Advanced Division for Extraction and Search). Nonostante non venga approfondito il suo passato, appare subito evidente il carisma e la forza di volontà dell’agente, che farà di tutto per portare a compimento la sua missione.
Capitano David Raven Hale: esperto pilota di elicotteri della Hexacore Air Force e membro dell’unità Crimson Skulls, è il secondo pilota del velivolo nome in codice “4RG0”. Nonostante la giovane età, ha ricoperto il ruolo di pilota di velivoli sperimentali della NASA, ma fu congedato in seguito al fallimento di una missione i cui dettagli non sono noti. Durante il prologo si verrà a conoscenza che in quell’occasione un suo compagno perse la vita. Le cicatrici di Raven sono il continuo ricordo di quanto successo anni prima.
Samuel Walker: forest ranger delle Redcrest Mountains, che fanno da letto alla Vermilion Forest e circondano la cittadina di Keen Sight. Come altri cittadini della zona, soffre di una patologia chiamata Daymare Syndrome, la quale causa ansia, paranoia e allucinazioni. Il sospetto che ci sia un legame tra la patologia di Samuel e la presenza della Hexacore Biogenetics in città è forte.
La scelta della lingua
Sebbene è una produzione totalmente italiana, il gioco presenta solo l’audio in inglese, con la possibilità di avere i sottotitoli in italiano. Scelta che probabilmente è stata fatta per internazionalizzare il più possibile il gioco e sacrificando la lingua locale, forse per un budget ridotto. Scelta comprensibile, ma che da italiano ammetto che mi ha fatto storcere il naso.
Comparto grafico
Il comparto grafico di Daymare 1998 è un miracolo videoludico considerando le risorse e l’esperienza del team di sviluppo, sebbene ci sono alcune evidenti pecche.
Le animazioni dei volti e la loro fisionomia non è delle migliori, dettaglio non da poco e che è visibile anche durante le cut-scenes, a tratti purtroppo davvero imbarazzanti.
La qualità generale però è di buona fattura, con un ottimo gioco di luci e ombre delle ambientazioni, che funziona davvero bene, riprendendo l’atmosfera tipica degli horror.
Ambientazioni davvero suggestive, e riprodotte in maniera accurata e dal colpo d’occhio piacevole, sono accompagnate da un comparto sonoro notevole con musiche ed effetti che metteranno non pochi brividi.
Una menzione speciale è per la colonna sonora del manu principale, che ho amato fortemente e che a mio parare è una bellissima citazione ai temi musicali di X-Files e Twin Peaks.
Gameplay
Facciamo una premessa: Il gioco oltre che sviluppato da una piccola software house, vuole essere un inno ai titoli storici degli anni ’90/2000 riprendendone atmosfere, strutture e situazioni in game.
Il gioco presenta un level design semplice ed intuitivo, con esplorazioni in aree definite. Durante l’esplorazione sarà possibile farsi largo tra gli infetti e raccogliere munizioni,oggetti collezionabili e tutto ciò che sarà necessario ad andate avanti nella storia.
Durante il gioco inoltre saremo posti dinanzi ad enigmi in perfetto stile adventure game di titolo quali Resident Evil , tomb raider (non i più recenti) e altri titoli che hanno fatto la storia dei punti e clicca. Enigmi davvero stimolanti e impegnativi (almeno per alcuni) metteranno alla prova il giocatore. Eseguire combinazioni di tasti in un determinato ordine, tradurre simboli, associare frasi in varie lingue o decriptare un messaggio in codice morse, ne sono alcuni esempi.
Il primo enigma presente nel gioco
Le fasi di shooting
Lo ammetto, l’approccio alle fasi di shooting non è stato molto felice. L’impatto è devastante quando abituati a giochi più recenti ci si trova per le prime volte a sparare ad un infetto in Daymare.
La meccanica di shooting infatti non è implementata in maniera eccellente, con un gameplay un po’ legnoso. Tuttavia dopo un po’ di pratica la sensazione di immobilismo che si ha nel sparare e/o correre passa e ci si può godere a pieno il gioco.
Il sistema di ricarica
Probabilmente insieme all’item menu è la cosa più originale del titolo di casa Invader. Infatti a differenza della moltitudine di videogames sparattutto , Daymare non permette di raccogliere munizioni e ricaricare l’arma con la sola pressione del tasto apposito. Per fare ciò bisogna scovare – oltre alle munizioni – anche i caricatori vuoti di ogni arma, che serviranno per riempirli dal menu con le munizioni raccolte.
Inoltre, sono stati implementati due tipi di ricarica:
Ricarica rapida, la quale avviene premendo il tasto apposito (quadrato per console PS4) il giocatore getta il caricatore nell’arma e inserire quello nuovo. Questo però vuol dire che se non si raccoglierà il caricatore gettato , non ce lo ritroveremo nel menu per poterlo riempire in futuro.
Ricarica lenta, premendo a lungo il tasto apposito (quadrato per console PS4) il giocatore toglie e ripone nel portaoggetti il caricatore vecchio , e in seguito inserisce nell’arma quello nuovo. In questo modo non si dovrà raccogliere nulla in seguito. Ovviamente questo tipo di ricarica è sconsigliato durante fasi di shooting intensi e/o in fasi in cui la presenza di infetti è imminente.
Facile capire che l’intenzione degli sviluppatori è rendere l’azione di ricarica dell’arma più realistico rispetto agli altri titoli in circolazione.
L’item menu è particolarmente bello da vedere.
Esso consiste in un palmare posto sul braccio del personaggio, dal quale è possibile controllare gli oggetti in possesso, lo status della salute, la mappa dell’area in cui ci troviamo e i documenti raccolti in giro fino a quel momento.
Altro elemento divertente è il mini-gioco di hacking che è possibile fare utilizzando oggetti di tipo “cavo” per sbloccare alcune porte nelle aree del gioco.
Easter eggs e citazioni
Daymare 1998 oltre ad essere un omaggio ai primi Resident Evil della saga, è ricco di easter egg e citazioni a opere iconiche appartenenti non solo all’ambito videoludico.
Tra i più espliciti c’è sicuramente quello all’iconico palloncino di IT di Stephen King.
Tra i collezionabili sono presenti venti statuette di cervi da distruggere, ognuna ispirata ad un’opera horror diversa.
Esplorando la cittadina di Keen Sight, si può notare la presenza dello studio del team di sviluppo.
Citazione all’incontro di pugilato tra Mike Tyson ed Evander Holyfield
L’incontro famosissimo si disputò a Paradise, Nevada, nei pressi di Las Vegas sabato 9 novembre 1996. Durante una cut-scene Raven e Sandman ne parlano discutendo sul combattimento senza precedenti e del brutto episodio che vide Tyson mordere l’orecchio dell’avversario.
Commento finale
Daymare 1998 è un inno d’amore ai survival horror che hanno fatto la storia del genere videoludico. Un’opera che al netto di alcune limitazioni e imperfezioni, è un capolavoro e gioiellino tutto italiano, che consigliamo soprattutto agli amanti del genere.
Invader Studios grazie a questo titolo entra prepotentemente nel cuore dei videogiocatori e della critica. Inoltre è già in fase di sviluppo un prequel che arriverà probabilmente a fine 2022 con il nome di Daymare: 1994 Sandcastle.
Lo abbiamo amato, osannato, ci ha fatto divertire con gli amici, ci ha fatto davvero prendere grossi spaventi. Resident Evil, è probabilmente il gioco horror più famoso di sempre sviluppato e prodotto dalla software house giapponese Capcom. Oggi parliamo del reboot del suo adattamento cinematografico: Resident Evil: Welcome to Raccoon City.
Scritto e diretto da Johannes Roberts ed uscito nelle sale italiane il 25 novembre 2021, la pellicola è a tutti gli effetti un reboot e adattamento cinematografico della saga videoludica che di fatto unisce le trame di Resident Evil (1996) e Resident Evil 2 (1998). Dopo Resident Evil Infinite Darkness (ne parliamo qui) , serie animata prodotta da Netflix, ancora una volta quindi il cinema attinge dalla saga.
Welcome to Raccoon City
Incipit
Il film vede, racconta le vicende dei primi due capitoli della saga videoludica, con protagonisti i celebri fratelli Redfield, Jill Valentine, Albert Wesker e Leon S. Kennedy. Jill, Albert e Chris Redfield fanno parte del team S.T.A.R.S., specializzato in missioni di soccorso che si ritrova nell’epicentro dello scoppio epidemico causato dalla Umbrella Corporation. Claire, torna a Raccoon City per trovare il fratello Chris e s’imbatte in una città fantasma. Farà presto la conoscenza di Leon al suo sfortunato primo giorno da poliziotto del dipartimento di Raccoon.
Da dx Tom Hopper,Kaya Scodelario,Avan Jogia,Hannah John-Kamen e Robbie Amell
Finalmente Raccoon city …
Le ambientazioni sono fedelissime a quelle del gioco. Raccoon city non è mai stata così cupa e spaventosa. Una città fantasma e che ritrae la stazione di polizia come tutti i fan hanno sempre sognato. Le luci e le ombre funzionano bene senza dare quella sensazione di claustrofobia da schermo che spesso ci colpisce non facendosi godere a pieno le scene al buio. La fotografia è forse insieme alle location il punto più forte della pellicola, riuscendo a far immergere lo spettatore nel mondo del videogioco come c’era solo riuscito parzialmente il primo titolo della saga con protagonista Milla Jovovich.
fonte: SkyTg24
Personaggi, scelte coraggiose ma proprio non ci siamo …
La scelta del cast funziona parzialmente, quella sulla caratterizzazione dei personaggi per niente. Il problema più grande di questa produzione passa proprio da questo punto. Se Chris e Claire funzionano e molto bene oltre ad avere una discreta somiglianza con la versione videoludica, non possiamo dire lo stesso per gli altri. Su tutti le delusioni più grandi sono Jill Valentine e Leon che paradossalmente sono tra i personaggi della saga più amati di sempre.
Chis e Claire
Oltre a non assomigliare fisicamente ai due personaggi, la cosa più snervante è vedere un Leon goffo,insicuro e incapace di prendere in mano la situazione (come invece siamo abituati a vedere). Forse la scelta è dovuta a voler mostrare un Leon alle prime armi e magari inserire qualche gag per intrattenere il pubblico, ma tutto ciò non funziona. Chi conosce il gioco di Capcom sa bene quanto Leon sia fondamentale nella storia e quanto sia cazzuto e sicuro di ogni azione che compie.
Leon
Questo purtroppo rappresenta una montagna insormontabile che compromette tutto ciò che di buono c’è nel film.
Infatti le quasi due ore scivolano abbastanza agevolmente riuscendo a regalare al pubblico un buon b-movie dal sapore anni 90. Le musiche scelte, i costumi, i dialoghi sono ottimi e regalano piacevoli ricordi ai più nostalgici, strappando anche qualche sorriso con scene originali e divertenti.
Una scena del film davvero divertente e originale
Commento finale
Welcome to Raccoon City rappresenta tutto sommato un buon film d’intrattenimento , ma ben lontano dalle speranze che nutrivamo quando uscirono i primi teaser. Se si vuole costruire da zero un caposaldo del mondo dei videogame improntando il film sulla fedeltà del franchise beh allora siamo proprio fuoristrada.
De Martino nel 1959, analizza alcune zone del sud Italia tra cui Basilicata, Campania e Calabria per capire quanto la magia sia radicata nella cultura popolare. In particolare nella pellicola viene trattato il fenomeno della fascinazione.
Fascinazione
Con fascinazione si intende una condizione psichica di impedimento e inibizione dovuta ad un senso di dominazione da parte di un’altra entità, con cui si perde autonomia. Essa necessita di una vittima e di un agente fascinatore. Se esso è umano si parla di malocchio, cioè un’influenza maligna causata da uno sguardo invidioso da parte di un’altra persona.
Sud e magia di Ernesto de Martino
Cos’è la fascinazione
Nel suo libro de Martino ci parla del fascino (o fascinazione o malocchio o fattura), una condizione che implica un agente (una persona fisica o uno spirito maligno) e una vittima.
Come avviene la fascinazione
La fascinazione può dunque avvenire anche involontariamente e spesso solo attraverso lo sguardo: in molte formule contro la fattura si ricorda proprio l’elemento dell’occhio malevolo (basta pensare alla filastrocca napoletana “Uocchij, maluocchij, prezzemolo e finocchio, aglie, fravaglie, a fattura ca nun quaglia” o a quella più famosa detta da Lino Banfi ne ‘L’allenatore nel pallone”).
Ernesto de Martino (1908 – 1965)
Fascinazione come allucinazione
L’autore nel suo saggio parla della fascinazione anche come forma di allucinazione e di possessione descrivendo casi di legature notturne: persone svegliatesi con lividi o legate al letto o che avrebbero sperimentato di notte uno stato di paralisi cosciente durante vessazioni fisiche di spiriti. Probabilmente secondo lo studio, la credenza diffusa di questo evento è dovuta al voler motivare lo stato emotivo-cognitivo di un individuo che in situazioni estreme quali gravi malattie,fame,situazioni di grave difficoltà o la morte durante il quale la persona era come assente e/o estranea alla realtà o non completamente cosciente e padrone delle sue scelte. Cefalalgia, sonnolenza, spossatezza, rilassamento, ipocondria spesso accompagnano la fascinazione: ma l’esperienza di una forza innominabile e funesta resta il tratto caratteristico.
Riassumendo …
Detto ciò possiamo quindi dire che la credenza nella fascinazione si basa su due fondamenti.
l’esistenza di forze oscure (naturali e sovrannaturali) che sovrastano l’esperienza umana e possono incidere negativamente su di essa;
la possibilità che persone possano agire a danno di altri esseri umani.
Per questo in chi crede vi è la necessità di attribuire a qualcuno (colui che è magico) il potere di contrastare quelle forze e le cattive intenzioni di chi ne fa uso. In tal senso vi è l’operatore, che viene identificato dalla comunità come dotato di poteri magici, il trattamento che egli riserva può conseguire degli effetti positivi e a volte risolutivi.
Giulia Patrignani in una scena del film
Un horror completamente italiano …
Il legame è interamente girato in Puglia, in particolare tra Selva di Fasano e Monopoli. Tra gli attori protagonisti vediamo Riccardo Scamarcio nei panni di Francesco, che per la prima volta porta la sua compagna Emma e Sofia(figlia di lei) a conoscere sua madre Teresa che vive in un’antica villa immersa tra gli ulivi, nel sud Italia.
Regia
Il ritmo della storia è ben calibrato, riuscendo a tenere alta l’attenzione lo spettatore oltre che la suspense. I personaggi sono ben coadiuvati, grazie anche alle buone scelte del regista per l’esposizione dei fatti.
De Feudis, riesce a creare un’atmosfera perfetta sfruttando a pieno le ambientazioni suggestive del paesaggio pugliese. Le campagne e gli alberi di ulivo, la casa dai soffitti alti, le porte scricchiolanti, i lunghi corridoi notturni e l’oscurità delle grotte, sono la giusta cornice per la storia che il regista vuole raccontarci.
Il legame : Una sceneggiatura “donna”
La sceneggiatura (curata dallo stesso regista), pone al centro di tutto la compagine femminile. Le donne sono coloro che muovono le fila della storia. Emma e sua suocera Teresa rappresentano due epoche lontane tra loro. Emma rappresenta ciò che è il mondo d’oggi e Teresa rappresenta ciò che sappiamo che è stato, e ciò che in segreto ancora esiste: il folklore.
Mariella Lo Sardo è Teresa
COMMENTO CON SPOILER
Il regista mostra tutta la sua abilità nel porre delle basi eccellenti per una buona storia dell’orrore. Il film è caratterizzato da dualismi. Il folclore e l’orrore, Il racconto popolare e le tradizioni familiari del Sud, Emma e Teresa. La pellicola mette subito in evidenza le diverse origini e tradizioni tra Francesco ed Emma. La villa e il luogo ormai desolato, le cure mediche non del tutto convenzionali, i riti, le preghiere prima del pranzo, sono tutti motivi di disagio che attanagliano Emma e che le fanno guardare Teresa con sospetto e timore. Questi elementi non sono altro che la classica quiete prima della tempesta, di una situazione (almeno in apparenza) tranquilla. Uno scontro preannunciato che però cesserà quando le due donne prendono le redini e collaborano per il bene di Sofia mettendo da parte ogni rancore e diversità.
“All’inizio non riuscivo a capire. Non era una semplice fascinazione. Ada era stata toccata da qualcosa di potente, di malvagio.” (Teresa)
De Feudis (con grande astuzia) pone il nostro sguardo dalla prospettiva di Emma facendoci temere il personaggio di Teresa. Come spesso si vede in film di possessione, la storyline arriva al punto cruciale quando la protagonista è sola nella propria stanza, scura, silenziosa, nella notte. Rumori, ombre, angoscia e tensione colgono lo spettatore il quale scruta ogni elemento come possibile pericolo in perfetto stile Paranormal Activity.
De Feudis rilancia l’horror italiano
Chiunque abbia visto qualche film horror, sa che in Italia non ha mai funzionato. Era dai tempi di Profondo Rosso e Suspiria che in Italia non guardavamo un film horror degno di nota.
Che sia chiaro, Il Legame non è neppur lontanamente paragonabile ai capolavori di Dario Argento, ma regala grandi speranze per il futuro, con una sorprendente performance di Giulia Patrignani (ragazzina all’esordio) e di Riccardo Scamarcio, che riesce a far dimenticare al pubblico il bad mantormentato e desiderato dalle donne a cui siamo abituati.
Da premiare è sicuramente la scelta di portare sullo schermo un tema affascinante (e non usiamo questa parola a caso) come i riti popolari. Purtroppo però dopo un’ottima introduzione della storia e una buona parte centrale, l’opera d’esordio del regista si perde nel finale lasciando un senso di incompiutezza.
Due occhi ti hanno fissato nei miei, ti vogliono aiutare. Io ti attacco al sangue fascinato per vedere dove si è celato. È sangue della tua natura, fino alla sepoltura.
Midnight Mass è la miniserie televisiva statunitense creata e diretta da Mike Flanagan adattando l’omonimo romanzo di F. Paul Wilson pubblicato il 1º novembre 2004 per la piattaforma Netflix.
Riley Flynn dopo l’arresto per omicidio stradale in stato di ebrezza, torna a Crockett Island, piccola e isolata comunità con una esigua popolazione.
L’arrivo di un nuovo giovane prete, Padre Paul, sconvolge l’esistenza della piccola comunità con il suo travolgente carisma e, soprattutto, con una serie di miracoli che fanno sorgere più di un interrogativo in Riley, ormai ateo dopo gli eventi che ne hanno sconvolto l’esistenza, e che scatenano un revival religioso nell’intera comunità, mentre una presenza oscura e misteriosa si aggira per l’isola.
La serie è strutturata in 7 episodi dalla durata di un’ora intitolati con i nomi dei libri della Bibbia cristiana.
Padre Paul [Hamish Linklater]
Regia e ambientazoni in perfetto stile Stephen King
Flanagan ancora una volta conquista il pubblico. L’ambientazione dell’isola di Crockett funziona davvero bene, evocando l’atmosfera misteriosa di città dell’immaginario come il Maine, la città in cui si svolgono la maggior parte delle storie del re dell’horror Stephen King (qui puoi trovare alcuni adattamenti cinematografici tratti dai suoi romanzi).
La regia si discosta leggermente dai lavori precedenti, tenendo un ritmo più lento e dando maggior spazio all’introspezione dei personaggi, dove richiederà maggior pazienza agli amanti dell’horror puro e dall’elevato contenuto di suspense.
Sceneggiatura
La trama di Midnight Mass è intrigante, caratterizzata dal folklore e dal costante dubbio che attanaglia gli uomini dinanzi al concetto della fede e della sua posizione nella vita. Sarà difficile in certi momenti della serie non pensare di abbandonarne la visione, quando i monologhi tra i protagonisti prenderanno il largoela scena, ma probabilmente la voglia di sviscerare ogni argomento e ogni mistero che aleggia sull’isola, sarà più forte.
In questo racconto horror atipico, gli attori sono davvero affascinanti, tutti ben collocati nella storia (con qualche piccola eccezione) e riescono a trasmettere perfettamente le sensazioni che il regista vuole. Persone che sperano in una seconda possibilità,chi è completamente devoto alla chiesa, chi scettico, differenze di razza e religione, dove il confine tra bene e male, giusto e sbagliato, fede e fanatismo è davvero sottile.
Per chi non avesse visto la serie, può guardare il trailer qui sotto e pertanto invito a non continuare la lettura per non incappare in spoilers.
“Tendiamo a non gradire il mistero … più cose sappiamo, meno ci pieghiamo…
Più fragili diventiamo, più facile è spezzarsi…”
~ Padre Paul [Hamish Linklater]
COSA ABBIAMO APPREZZATO
1) LA CONTINUITÀ DEL LAVORO DEL REGISTA.
Dopo il tema della famiglia raccontato in Hill House,l’amore in Bly Manor, in Midnight Mass incentra la storia sulla religione. I temi utilizzati sono per la maggior parte i tre cardini su cui si basa la vita di un essere umano.
2) L’IDEA DELLA SUDDIVISIONE DEGLI EPISODI SECONDO I LIBRI DELLA BIBBIA.
3) IL CONFRONTO ISLAM/CATTOLICESIMO
il pregiudizio verso gli islamici e come è difficile per loro l’integrazione nella società dopo l’11 settembre. Un tema davvero attuale, raccontato forse per la prima volta in maniera intelligente senza stereotipare e dove non è un elemento narrativo negativo. Davvero avvincente e ben costruito il dibattito che avviene tra Bev (cattolica fervente) e Omar (devoto alla religione islamica).
4) IL CONCETTO DI “MORTE” raccontato dal regista attraverso la chiacchierata tra Riley ed Erin.
5) I RIFERIMENTI E GLI OMAGGI che il regista fa alle sue serie create e dirette in precedenza,a grandi cult e ad una delle sue maggiori fonti d’ispirazione: Stephen King.
Tre storie, tre coppie che provano a tutti i costi a restare uniti con i propri figli.
6) LA PERFORMANCE ECCEZIONALE DI SAMANTHA SLOYAN
L’attrice che interpreta Bev, principale antagonista della serie. Ella è un membro fanatico della chiesa di San Patrick nonché figura chiave nella comunità di Crockett. Ma nonostante ciò non è ben vista dai suoi compaesani, che in più occasioni testimoniano la sua natura maligna. Il suo personaggio è subdolo,senza scrupoli e pronta a tutto per servire e venerare colui che vede come segno della Seconda Venuta.
Una performance eccezionale, che mette a nudo l’estremismo e il fanatismo che spesso è nei religiosi più convinti. Un personaggio non semplice, che è facile odiare, ma impossibile non amare cinematograficamente parlando.
7) L’ORIGINALITÀCON CUI VIENE SVELATO IL FINALE
Sebbene la narrazione porti a pensare che Riley sia l’eroe che fisicamente risolverà la situazione, come già ci ha fatto vedere nelle sue precedenti produzioni, Flanagan ci sorprende facendo morire ben 2 episodi prima della fine proprio il protagonista, che grazie ai sentimenti che pone in Erin la smuove in cerca di una soluzione definitiva. Inoltre anche se poco apprezzato al primo impatto (troppo in stile musical), l’introduzione al finale viene mostrato con l’immaginario della Via Crucis,simbolo del percorso doloroso del figlio di Dio,sequenza che per i nostalgici dei cult non può che ricordare un colosso come L’esorcista (1973) di William Friedkin.
COSA NON ABBIAMO APPREZZATO
1) IL TRUCCO
utilizzato per i personaggi anziani. Così pessimo da rendere poi prevedibile ogni avvenimento successivo. Una volta compreso che il sangue della belva ringiovanisce le persone, allora tutto diventa lapalissiano. Un vero peccato, una cosa che proprio non siamo riusciti a mandare giù per una serie di questo livello.
2) IL RITMO DI NARRAZIONE
che soprattutto nei primi episodi risulta troppo lenta,con tanti monologhi,molti dialoghi che però solo apparentemente paiono fini a se stessi.
3) LA RAPPRESENTAZIONE DELL’ANGELO
che sebbene rappresenti in realtà il male, rende tutto un troppo grottesco e banale, quando avrebbero potuto sfruttare maggiormente la figura di Paul come incarnazione del male.
4) LA PASSIVITÀ DI MOLTI PERSONAGGI
che non si pongono quasi mai domande dinanzi ai fatti palesemente strani e dubbi che avvengono sull’isola. Tra tutti Annie, madre di Riley che nonostante spesso si trova dinanzi a situazioni ambigue sembra non accorgersi mai di nulla. Si supera addirittura quando Erin alla disperata ricerca di Riley con cui doveva incontrarsi la sera precedente, chiede ad Annie se il figlio fosse in casa e lei senza esitazioni anziché allarmarsi la caccia via.
Conclusioni
Midnight Mass è un horror atipico, un genere che vero e proprio horror non è ma che fa delle sue atmosfere la colonna portante. Ancora una volta Flanagan non ha paura di portare la sua visione, senza cadere nei cliché, raccontando una storia dell’orrore senza uso massivo di scene splatter,jump-scare e trucchi simili. Come ci ha già abituato racchiude temi importanti come amore,perdono,famiglia,religione e sensi di colpa, in un quadro dalla cornice tenebrosa (grazie anche ad una bellissima fotografia) per trasmettere infine un messaggio più profondo.
A distanza di quasi due anni dall’uscita del film , Parasite è tutt’ora argomento di discussione per il suo grande impatto e per la sua sottile(ma forte) denuncia sociale. Analizziamo le simbologie usate dal regista Bong Joon-ho per il suo pluripremiato film.
Parasite e il significato delle scale e l’origine dell’aspetto di casa Park
fonte : web
Come già spiegato nella recensione(clicca qui), le scale assumono un significato importante nella pellicola. Si può notare infatti anche in questa bellissima pop-art (vedi sopra) come c’è una netta distinzione del ceto sociale tra le persone che nel film salgono le scale per andare nella propria dimora (la famiglia Park) e chi invece le scende(la famiglia Ki) . Bong ha voluto fortemente che lo scenografo ponesse una lastra di vetro su un lato delle scale, per poter “filmare le persone che salgono”.
Un frame della casa del film del regista polacco
Inoltre ha dichiarato di essersi ispirato, alla casa de “L’Uomo nell’ombra” di Roman Polanski. Possiamo quindi definire le scale in Parasite come simbolo di scalata nella piramide sociale , la quale alla base (in basso) ha la gente che desidera ascendere ad uno status migliore e prendere il posto di quelle benestanti e in posizione privilegiata.
Al cinema come al teatro
“Volevo trovare qualcosa di adatto per il teatro, sì, visto che lo spazio su un palco è limitato, ho iniziato a pensare a qualcosa che avrebbe funzionato con una o due location. Così l’idea di una storia che si sarebbe sviluppata in due case, una ricca e una povera”. ~ Bong Joon-ho
Com’è nata la sceneggiatura di Parasite
Bong Joon-ho
Il regista di Parasite inoltre sostiene che l’idea per la sceneggiatura del film nasce in parte da sue esperienze personali. Infatti lui stesso da ragazzo ha lavorato come tutor personale per una ricca famiglia durante il college. Il ricordo della sensazione di sentirsi fuori posto ogni volta che entrava nella lussuosa casa e l’impressione “di infiltrarsi segretamente nella vita di uno sconosciuto”, gli hanno dato l’idea per la storia.
La pietra Suseok
La pietra che Min-Hyuk regala a Ki-woo è una pietra Suseok( 수석 ).
Per definizione: ” SU ” significa lunga durata e ” SEOK ” significa pietra, pertanto, Suseok significa letteralmente pietra di lunga durata o con un’immagine immutabile.
Essendo pietre da collezione, per assicurarsi il loro valore è necessario valutare le sue caratteristiche quali colore,dimensioni,peso e la qualità della pietra stessa oltre che la forma. Il collezionismo di queste pietre inizia soprattutto nel periodo della dinastia Joseon ( 1392–1897 ), anche se pare abbia origini ancora più antiche.
Un esemplare di pietra Suseok
Oggetto di distrazione per il pubblico …
Sebbene il regista non ha fornito spiegazioni specifiche sull’importanza e il significato dell’oggetto, attribuendogli anzi l’appellativo di “oggetto di distrazione per il pubblico” data la particolare attenzione che in corea lo spettatore presta ai dettagli in un film, sono varie le ipotesi sul vero ruolo di questo particolare oggetto.
Oltre all’ipotesi più gettonata di simbolo della “ricerca della felicità”, la pietra potrebbe avere il ruolo di portafortuna nonché segno su cui la famiglia Ki si appella per provare a risollevare le proprie sorti. Infatti quando Ki-woo ispeziona la pietra, spiega ai genitori che essa oltre ad essere una roccia di grande prestigio è simbolo di fortuna. Chi ha guardato il film sa bene che poco dopo il ragazzo avrà l’opportunità di lavorare per la famiglia Park e quindi vede in essa la possibilità di sistemare finalmente la propria famiglia.
Proprio quando sembra finalmente andare tutto per il verso giusto, dopo una sequenza sfortunata di eventi, Ki-woorecupera la pietra dalla sua casa, allagata in seguito all’alluvione (si può notare che essa nonostante sia una roccia molto pesante all’apparenza, galleggia), per utilizzarla come arma e mettere definitivamente fuori gioco la famiglia rivale rimasta intrappolata nel bunker.
Ma le cose si mettono male quando colto di sorpresa da Geun-se viene colpito proprio con la pietra restando a terra apparentemente morto. Su questo ultimo avvenimento diventa forte l’ipotesi che la pietra nella sfortuna sia la salvezza del protagonista, in quanto essendo una pietra vuota (e quindi non eccessivamente pesante) non lo uccide.
Altre ipotesi …
Completamente opposta invece può essere l’ipotesi che credendo che la pietra sia portatore di fortuna conduce invece la famiglia a credere si aver svoltato per sprofondare definitivamente con la perdita della giovane Ki-jung uccisa da Geun-se e con il capofamiglia Ki-Taek costretto a latitare dopo aver vendicato la morte della figlia.
Parasite è un film che fa della differenza sociale e dei suoi effetti collaterali il perno principale. Ogni persona lotta per affermare i propri diritti alla vita e alla costruzione e realizzazione della propria felicità, senza avere scrupolo del prossimo, anche i più simili e vicini (inteso come status nella società). Un concetto attualissimo che mette a nudo la civiltà moderna e il suo concetto di diritto alla ricerca della felicità.
Essendo quello della scale il simbolo più rappresentativo, vi lasciamo con una citazione che racchiude il senso dell’intero film.
Papà, oggi ho fatto un piano, un piano fantastico. Guadagnerò dei soldi, molti soldi. L’università, la carriera e il matrimonio possono aspettare. Prima guadagnerò molti soldi, dopodiché comprerò quella casa. Quel giorno io e la mamma ci trasferiremo e andremo in giardino, perché il sole lì è più bello che altrove, e basterà solo che tu salga le scale. Prenditi cura di te fino a quel giorno. A presto, allora.
La trama ruota principalmente attorno a Rose(Jaime King) la quale in seguito allo scoppio di un’epidemia zombie, viene separata ad un posto di blocco dalla figlia. La donna così intraprende un lungo e violento viaggio per riunirsi a lei.
Regia : L’esasperazione di ogni tipico aspetto del genere zombie horror
Le caratteristiche del genere sono tutte presenti, ma amplificate fino all’esasperazione, il tutto per mettere in evidenzia la pericolosità e l’aggressività dei non morti,la violenza e tutti gli avvenimenti che coinvolgono i protagonisti che agiscono in un mondo pieno di azione e nessuna pietà.
La struttura degli episodi è divisa in piccoli capitoli che spesso si muovono nel tempo in maniera circolare per raccontare la storia e le disavventure dal punto di vista dei diversi protagonisti, per poi arrivare ad un fitting point che mette insieme i pezzi. I dialoghi sono pochi, brevi e diretti per lasciare maggior spazio alla tensione, le atmosfere e le sequenze di azione.
La serie sin da subito non si risparmia: Scene crude,violente, scelte crudeli, persone senza scrupoli lottano contro gli altri sopravvissuti più che contro i non morti. E’ chiarissimo che la scelta degli autori è di rappresentare l’uomo come vero antagonista della storia , il quale non avrà ripensamenti quando si tratterà di mettere la sua vita avanti a tutto.
Saranno d’accordo in tanti che hanno già visto la serie, che le scene più cruente e angoscianti sono proprio quelle in cui l’uomo compie gli atti più atroci.
I ritmi di narrazione sono pressoché elevati, grazie al mix di suspense e adrenalina che faranno compagnia allo spettatore per gran parte degli episodi. Inoltre spesso ci si troverà a dover fare i conti con l’ansia e la paura di essere beccati da chi vuole sopraffarci come se la realtà e la finzione del mondo di Black Summer fossero un tutt’uno grazie all’immersività che la regia è riuscita a creare.
Camera a mano
Black Summer fa un massiccio uso di questa tecnica di ripresa che consente allo spettatore si sentirsi completamente nell’azione e rendendo la scena davvero immersiva.
Questa tecnica consiste nel riprendere gli attori muovendosi insieme a loro sul set. Il cameraman in questo caso segueil protagonista rendendo la scena più reale come accade anche nei reportage. Per fare alcuni esempi, Cannibal Holocaust e The Blair Witch Project sono tra i precursori di questa tecnica.
Una scena della serie girata con la tecnica appena descritta
Altro aspetto che ho davvero apprezzato moltoè la reazione dei protagonisti che(che a differenza di altri prodotti del genere) anche quando ormai combattenti esperti mostrano spesso la loro paura e il timore di non farcela dinanzi ai non morti che lontani dai canonici zombie dal passo lento , sono pronti a corrergli dietro fino a quando non avranno la loro carne. Queste scene rendono molto reale la storia creando empatia con lo spettatore che riconosce la sensazione di terrore se pensa di trovarsi in quell’istante nei panni del protagonista.
E’ facilmente deducibile che il fiore all’occhiello di questo prodotto è l’incredibile realismo che proietta BS ai primi posti dei film apocalittici, oltre al cast che nonostante sia composto da attori poco conosciuti si difende davvero in maniera egregia risultando una piacevole sorpresa.
Elogi particolari alla protagonista assoluta Jaime King che si mostra cazzuta e stella della serie con un personaggio caratterizzato da una netta e costante crescita.
Per ora più che bene …
Per ora il mio non può che essere un giudizio positivo , per una serie che è un must to watch per gli amanti del genere, ma allo stesso tempo consigliato per chi ha voglia di guardare qualcosa di molto realistico e originale.
Netflix ha già fatto sapere che è in produzione una terza stagione e personalmente non vedo l’ora di vedere se riusciranno a mantenerne il trend.
Come per la maggior parte dei casi, anche questa serie non è esente da difetti, con alcune scelte che mi hanno fatto storcere un po’ il naso, ma che non rovinano lo spettacolo.
ATTENZIONE SPOILER !
Personalmente ho trovato una forzatura la sequenza in cui Rose e Ray restano fermi a guardarsi senza provare ad uccidere l’altro dopo l’esplosione . L’ho trovato poco credibile in quanto entrambi sono personaggi molto determinati e inoltre la prima ha ancora da perdere avendo una figlia da vivere e tenere in vita (a differenza di Ray che ha perso la sua famiglia rimaste vittime dell’epidemia).
Conclusioni
Black Summer è senza dubbio un prodotto che osa,non ha timore e si mostra nella sua essenza e in tutta la sua violenza e brutalità. La serie sicuramente verrà apprezzata ancora di più nel tempo potendo contare sulla grande visibilità del suo streamer e sui tanti giudizi positivi che faranno eco fino ad arrivare all’orecchio anche dello spettatore più restio.
Gli zombie sono la faccia allo specchio che non restituisce lo sguardo. (Richard Greene)
Numerosi mostri mutanti e zombi vanno in cerca di prede umane.
Claire Redfield (sorella di Chris Redfield, uno dei protagonisti del primo Resident Evil, venuta a cercarlo in città) e Leon Scott Kennedy, un neo poliziotto assegnato alla locale stazione di polizia, la R.P.D. (Raccoon City Police Department), al suo primo (che fortuna) giorno di lavoro.
Nell’autunno del 2004. Leon Scott Kennedy, è ora un agente governativo incaricato di indagare sul rapimento di Ashley Graham, figlia del presidente degli Stati Uniti d’America.
Secondo l’intelligence, Ashley è stata deportata in Spagna, e gli indizi portano al villaggio rurale di El Pueblo. Per confermare la notizia ed evitare imboscate, i servizi segreti decidono di inviare sul posto un solo agente: Leon Scott Kennedy, agente speciale che gode della stima del presidente.
2006 Infinite Darkness breve introduzione della storia in streaming su Netflix
Dopo gli avvenimenti di El Pueblo, in seguito ad un attacco informatico alla Casa Bianca; il presidente richiama il suo fidato (a cui deve tutto dopo avergli riportata sana e salva la figlia) Leon Kennedy al quale ordina di indagare sull’accaduto. Arrivato alla Casa Bianca Leon deve subito far fronte ad un misterioso attacco il quale diffonde il virus T nella struttura. Scampato il pericolo Leon incontra Claire che, nel frattempo indaga sugli avvenimenti di Panemstan il quale pare abbia portato al suicidio un’intera squadra di soldati tornati dal posto anni prima.
L’unico sopravvissuto della squadra è Jason definito “Eroe di Panemstan“, il quale però appare subito ambiguo agli occhi di Leon.
Regia e sceneggiatura
La trama di Resident Evil Infinite Darkness è ben definita, riuscendo a collocare in maniera corretta i personaggi e le loro storie. Mi è parso evidente che la scelta di rilasciare soltanto 4 episodi sia per dare al pubblico un assaggio, un modo per la produzione di tastare il terreno per programmare una serie (mi auguro) più profonda e più longeva.
I flashback inseriti tuttavia non riescono a raccontare chiaramente il background dei personaggi introdotti, mentre è davvero ottima l’atmosfera che si crea durante l’investigazione portata da Claire. I dialoghi sono ben strutturati rendendo piacevole la visione della serie senza momenti di noia.
Leon e Jason in una scena della serie
C’è da dire però mentre in Resident Evil: Vendetta (2017) abbiamo apprezzato sequenze mozzafiato con inseguimenti,sparatorie e combattimenti all’ultimo sangue, questo ha messo da parte la spettacolarità incentrando la storia sul dialogo, gli intrighi e le atmosfere cupe rendendo il prodotto un thriller a sfondo horror.
Claire sulla scena del delitto
Montaggio
Essendo una serie prodotta completamente in CGI, per gli amanti della saga CAPCOM è un po’ come tornare a casa. La qualità della grafica è sicuramente notevole, riprendendo quanto fatto con i film precedenti del franchising e cercando di sfruttarlo a pieno. Proprio su questo punto mi sento di muovere una piccola critica: Considerando che l’ultimo film risale a qualche annetto fa, mi sarei aspettato un miglioramento in alcune movenze e alcune espressioni dei personaggi che invece sembrano rimaste sullo stesso livello, che resta comunque di prima fattura.
Il design e le ambientazioni sono come sempre in perfetta sincronia con quelli del videogioco, il tutto accompagnato da una buona colonna sonora.
Conclusioni
Resident Evil: Infinite Darkness è senza dubbio uno dei prodotti più attesi dal pubblico amante del genere e della saga videoludica. La serie mantiene un ottimo livello , ma troppo breve con i soli 4 episodi per essere giudicata in maniera definitiva.
In attesa di ulteriori episodi possiamo concludere dicendo che questa serie animata è una buona trasposizione seriale della saga horror più amata e conosciuta al mondo, se dovessi dare un voto scolastico, direi RIMANDATA .